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IL SONNO DEI NOSTRI BAMBINI



Nella favola di A. Marcoli “Il camoscio che non voleva dormire” si racconta di un piccolo camoscio che, a un certo punto della sera, comincia a dar segni di non volersi addormentare, e dei suoi genitori che, man mano che le notti passano e la cosa non accenna a smettere, si ritrovano la mattina sempre più stanchi e affaticati. Fin quando, con l’aiuto dell’asino Sapiens, arrivano a comprendere il motivo per cui il loro cucciolo fa fatica ad addormentarsi e si danno da fare per trovare la soluzione che meglio possa rispondere ai suoi bisogni.


Eh sì, perché come ci ricorda l’asino Sapiens “…capire è sempre il primo passo ed è il più importante”.


Ma ancora di più, ed è ciò che a cui vorrei invitarvi mentre mi leggete, “…il problema è di capire anche col cuore”.


Quando parliamo di un tema così complesso e a volte anche complicato com’è il sonno, capire col cuore significa innanzitutto sapersi mettere “nei panni del bambino”, osservandolo, ascoltandolo, mettendosi sulla sua lunghezza d’onda per assecondare i suoi ritmi vitali e per comprendere in che modo si esprime e manifesta bisogni, paure, desideri, difficoltà, adattamenti, richieste d’aiuto.


Il sonno rappresenta un aspetto della relazione con i propri figli che spesso e volentieri mette a dura prova la pazienza di tanti genitori, facendoli sentire impotenti per il fatto di non sapere, il più delle volte, cosa fare e come intervenire.


“Dorme poco…continua a svegliarsi…non ci lascia dormire…è un anno che non riesco a dormire due ore di seguito senza dovermi alzare…ogni sera c’è una scusa, diventa sempre più bravo a inventarsene una pur di non dormire…non riesce a dormire una notte intera nel suo lettino…” sono solo alcune delle considerazioni più frequenti dei genitori!


Per cominciare a “capire”, innanzitutto, è necessaria una breve esplorazione della fisiologia del sonno.


Il sonno è caratterizzato da cicli che durante la notte si ripetono in modo ritmico. Ciascuno di questi cicli dura circa due ore ed è caratterizzato da fasi diverse: una prima fase che corrisponde all’addormentamento (si passa dalla sonnolenza al sonno), una successiva di sonno profondo in cui la mente ed il corpo risultano tranquilli e una fase di sonno leggero o attivo detto REM, fondamentale ai fini dello sviluppo cerebrale.

In questa fase, infatti, il cervello “si sveglia” ed inizia a lavorare, a elaborare le esperienze vissute durante il giorno. È la fase in cui si sogna!


Per i bambini le cose avvengono diversamente, ecco perché non possiamo aspettarci che dormano come noi “grandi”.


Intanto hanno cicli notturni più brevi di quelli degli adulti.


Le fasi REM sono più frequenti, perciò, sono più vulnerabili ai risvegli, circa ogni ora o anche meno. È normale, quindi, che i lattanti e i bambini fino a tre/quattro anni si sveglino frequentemente la notte e non è sano, invece, incoraggiare un bambino molto piccolo a dormire troppo profondamente.


“Conoscere queste nozioni di fisiologia può aiutare i genitori ad accettare i risvegli dei loro bambini così come accettano l’acquisizione graduale della capacità di camminare, di mangiare da soli, di fare a meno del pannolino” (A. Bortolotti).


Il ritmo sonno-veglia caratterizzato da frequenti risvegli ha una funzione importante ai fini della sopravvivenza e dello sviluppo del bambino, serve a sollecitare il piccolo a svegliarsi in caso di necessità (nasino chiuso, apnea notturna, fame, freddo) e ad assicurargli un buono sviluppo cerebrale.


Come ci ricordano diversi autori che tanto hanno scritto sul sonno e la sua “architettura fisiologica” (J. Bouton, W. Sears, McKenna, B. Lozoff, E. Balsamo, G. Honegger Fresco, A. Bortolotti, etc…), questo ritmo va rispettato fin dai primi momenti di vita.


“Il sonno dei bambini è sacro e non andrebbe mai disturbato” (E. Balsamo)


E’ importante non interferire con questo “meccanismo fisiologico” così perfetto perché i nostri bambini possiedono in maniera innata tutte le competenze che servono per consolidare nel tempo i propri ritmi sonno-veglia.


Ma quando si consolidano questi ritmi?


Come ci fa presente la pediatra Z. G. Del Buono è difficile prevederlo perché i tempi di questa maturazione variano.

Ogni bambino è diverso.

Alcuni raggiungono presto questa maturità, ma molti di loro continuano a svegliarsi.

E i motivi possono essere davvero tanti.


Dalle cause fisiche (stanza troppo calda, troppo fredda, bambino troppo o poco coperto, aver mangiato eccessivamente o non sufficientemente), a quelle che hanno a che vedere con stimoli dolorosi (raffreddore, coliche, otiti, dentizione, vaccinazioni).


Anche le tappe evolutive principali come il gattonamento, il cammino, il controllo degli sfinteri possono portare i bambini a “praticare” le loro nuove competenze nel sonno.


Senza tralasciare cause di tipo sensoriale come il buio, i rumori, i giochi di luci e ombre che trasformano gli oggetti in qualcosa di spaventoso e irriconoscibile.


Fino alle cause legate a stress emotivi e affettivi che in qualche modo modificano la vita del bambino e le sue abitudini: l’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia, un trasloco, le vacanze, la nascita di un fratellino, la separazione dei genitori, l’assistere a frequenti litigi familiari, essere stato rimproverato prima di andare a dormire o addirittura aver fatto poco prima giochi eccitanti.


In ogni caso, come ci fa presente il pediatra B. Lozoff quelli che spesso noi occidentali consideriamo “disordini del sonno” nella stragrande maggioranza dei casi sono problematici solo in relazione alle aspettative della nostra società!


Le difficoltà riguardo al sonno e all’addormentamento dei nostri piccoli sono caratteristiche delle società occidentali contemporanee.

Nel resto del mondo il sonno rappresenta un’attività piacevole, addirittura sociale e non un fatto privato, tant’ è che spesso e volentieri è tutta la famiglia allargata a dormire insieme nello stesso spazio.


Soprattutto, sono i bambini che nei primi anni di vita dormono sempre vicino alla loro mamma. Così come succedeva da noi appena 50-100 anni fa!


Ecco di seguito, attraverso una testimonianza degli anni ‘70 riportata da L. Gandini in Les rituels du coucher de l’énfant, un esempio di come nelle famiglie del passato l’andare a letto prevedeva una vicinanza fisica che facilitava il passaggio dalla veglia al sonno.


“Quando vado a trovare mia figlia che ha un bambino di un anno che si chiama Marco, la sera, al momento di addormentarlo, lo mette nel suo lettino e chiude la porta della sua camera. Lo lascia piangere fino a che non si addormenta e aspetta ansiosa nell’altra stanza. Io non riesco a sopportarlo!

Quando mia figlia era piccola, io la tenevo nelle mie braccia e passeggiavo in camera, cantando e cullandola per delle ore. Poi la mettevo nella sua culla, di fianco al nostro letto, molto delicatamente, per evitare che si risvegliasse e che si mettesse a piangere di nuovo.

Ma mi ricordo anche che mia madre, che viveva con noi, mi diceva:”Io non vi capisco, voi donne moderne! Quando tu eri piccola, io ti mettevo nel letto con me, ti davo il seno e tutti si addormentavano tranquillamente”.


Certo questo non significa, necessariamente, che la vita dell’infanzia fosse migliore nel passato, ma ci fa comprendere come nel nostro mondo occidentale si sia accentuata, nel corso dei decenni, la distanza fisica tra il corpo del bambino e quello dei suoi genitori.


“Stare a stretto contatto con il corpo di un’altra persona al momento di addormentarsi è un bisogno primario del bambino!” (E. Balsamo).


Abbiamo perso la consapevolezza che i bambini piccoli hanno bisogno di essere accompagnati nel sonno e non semplicemente di essere messi a letto, perché i piccoli si addormentano in modo diverso dagli adulti.


L. Gandini ci ricorda addirittura come sotto i sei anni andare a letto non è qualcosa che i bambini fanno da soli.

Si tratta di un evento complesso impregnato di scambi affettivi molto intensi.

Sicuramente è molto di più che rispondere al bisogno fisiologico di dormire!


Per il bambino, infatti, è naturale ricercare la vicinanza fisica dell’adulto che si prende cura di lui e, a partire dall’8° mese al 3° anno di vita, lo fa in maniera sempre più attiva. In questo periodo il bambino sperimenta “l’ansia da separazione”, perciò, i suoi frequenti risvegli notturni, accompagnati spesso dal pianto, sono il più delle volte riconducibili a un maggior fisiologico bisogno di rassicurazione.


Il momento dell’addormentamento è da sempre un momento molto delicato perché in esso si concretizza in modo molto chiaro e acuto il problema dell’attaccamento e dell’elaborazione della separazione.


Se il bambino si accorge che la madre è assente o distante prova una sensazione di ansia che, oltre a farlo piangere non gli permette di tollerare la lontananza fisica dall’adulto che lo protegge e lo “regola” nelle sue funzioni.


Rispondere in maniera “sensibile” alla sua richiesta di vicinanza e di rassicurazione, durante la notte, è fondamentale; questo fa sì che nel tempo il bambino rassicurandosi, consolidi la consapevolezza che la mamma anche se non c’è è pronta ad accorrere e ad accogliere in maniera efficace il suo bisogno.


Non solo.


Gradualmente, il bambino stesso diventa capace da solo di calmarsi e addormentarsi senza l’aiuto dell’adulto.


J. Bowlby, attraverso il suo prezioso studio sui legami di attaccamento, sottolinea come, nella misura in cui un bambino ha potuto sperimentare una buona dipendenza, diverrà sicuramente autonomo.


“Una confidenza spensierata nella sicura accessibilità e nel supporto delle figure di attaccamento sono le basi sulle quali sono costruite personalità stabili e fiduciose di sé”. (J. Bowlby)


Certo ogni famiglia è diversa e va rispettata nella propria ricerca di un modo di stare insieme tranquillo e piacevole non solo di giorno, ma anche di notte.


Quello che mi preme sottolineare è che al di là della decisione di ciascun genitore di optare per una soluzione piuttosto che un’altra (co-sleeping/bed-sharing, side-car e altro ancora) è importante sapere che il bisogno fondamentale del bambino è quello di ritrovare intorno a sé un ambiente che lo “rifornisca” affettivamente, in modo da poter crescere e svilupparsi.


Questo vale soprattutto in alcuni passaggi delicati della sua crescita e durante la notte così come di giorno.


Fornire il nutrimento affettivo attraverso l’abbraccio, il contenimento fisico, il cullamento, il portarli nel nostro letto non rappresenta assolutamente il rischio di “viziare” i bambini.


Non esistono evidenze scientifiche che confermino alcun vantaggio fisico o emozionale del sonno solitario del bambino, specialmente nel periodo dell’ansia da separazione.

Anzi!

A.Moschetti e M. L. Tortorella ci fanno presente come negare ai bambini la possibilità di dormire vicino o con i genitori in questo periodo, può essere mentalmente pericoloso per loro.

Sicuramente nel tempo si “abitueranno” a questa modalità severa e dura nei loro confronti, ma ciò che avranno imparato è che i loro segnali, anche quelli più forti non sono degni di essere presi in considerazione, possono solo rimanere inascoltati.


“L’adulto passa davanti accanto a questo mistico amore senza riconoscerlo: ma badate, quel piccino che vi ama crescerà e scomparirà. Chi vi amerà come lui? Chi vi chiamerà andando a letto, dicendo affettuosamente – Stai qui con me – anziché dire con indifferenza – Buonanotte -? Chi desidererà altrettanto ardentemente starci vicino (…), soltanto per guardarci? Noi ci difendiamo da quell’amore e non ne troveremo mai un altro uguale!” (M.Montessori)


Ancora una volta non dimentichiamo che l’educazione come “aiuto alla vita” implica il saper riconoscere, accogliere e rispondere ai bisogni reali dei bambini, corrispondendo a questi bisogni al momento giusto e fornendo il “nutrimento” fisico, affettivo ed emotivo più adatto a ciascuno di loro.



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